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身近な暮しを書きとめるノートです。
by lykkelig
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バザーリア賞受賞記念スピーチ(イタリア語)

Il senso comune giapponese non ha senso nel mondo (tradotto da Yasuo Sato)

Kazuo OKUMA

Inizio il mio discorso raccontandovi della mia esperienza personale.
La mattina del 3 febbraio 1970, io giornalista dell’autorevole quotidiano Asahi Shimbun entrai in un manicomio privato di Tokyo, sorretto ai due lati dalla mia exmoglie e da un collega.
Si diceva che questa istituzione ricoverasse in ospedale persino una persona ubriaca accompagnata dai familiari quando costoro dicevano che era un “ubriaco cattivo”. Pensavo che non fosse possibile in uno Stato costituzionale rinchiudere una persona in una stanza blindata come un carcere, solo per ubriachezza temporanea. Mi domandavo se succedeva davvero una cosa cosi’ inverosimile. Avevo 32 anni, ero un semplice ma curioso giornalista di cronaca sociale. Decisi di andare a verificarlo di persona.
Con mia sorpresa mi hanno ricoverato molto facilmente in un padiglione chiuso!
L’ospedale era classificato dagli specialisti di medio livello. In quel periodo si erano verificati nei manicomi giapponesi moltissimi casi scandalosi: omicidi di ricoverati commessi da operatori, assassini fra ricoverati, obbligo di lavori forzati dei ricoverati per costruire un giardino della villa del primario o un campo sportivo di un ospedale, occupazione dell’ amministrazione di un ospedale da parte della criminalita’ organizzata ecc.





Per fortuna non ci sono atti di violenza nell’ospedale dove sono ricoverato, ma non mancano tante scene sorprendenti.
Nel padiglione chiuso ci sono tre stanze come gabbie di giardino zoologico, in ognuna delle quali sono rinchiusi alcuni anziani dementi, che portano tutti il pannolone per l’incontinenza. Nelle stanze regna un odore insopportabile.
La stanza dove mi hanno messo ha uno spazio di circa 80㎡.
Sul pavimento coperto da tatami (materasso di paglia) dormiamo sui futon (materassino e coperta) preparati da soli come sardine in circa 30 persone, e prendiamo su delle tavole basse allineate un pasto disgustoso, che non ho mai mangiato nella mia vita.
In fondo al corridoio del padiglione c’e’ una toilette, ma senza porta. Tutti possono vedermi nella posizione accovacciata di defecazione. Li’ non c’e’ nemmeno la liberta’ di vergognarsi.
Se uno urla dicendo “Vorrei essere dimesso!”, riceve come punizione un elettroshock in una cella isolata. Non vedo alcun operatore picchiare i ricoverati, ma vedo spesso dei pazienti-tossicodipendenti picchiare altri ricoverati tranquilli.
I medici mi classificano come psicopatico e alcolista. Dopo due settimane di ricovero in quel manicomio, i miei familiari chiedono la mia dimissione. Il medico curante risponde “sarebbe opportuno non dimetterlo, perche’ persiste ancora l’alcolismo”
Capisco in quel momento che i ricoverati in manicomio sono per l’amministrazione dei “beni immobili” che producono profitti. Non ero e non sono alcolista. Non sarei capace di bere per diventare un alcolista. Vale a dire non c’era alcun motivo per trattenermi ricoverato.

I miei familiari riuscirono a farmi uscire dal manicomio, dicendo con insistenza “vogliamo farlo dimettere, perche’ non abbiamo piu’ soldi per il ricovero”. Pur avendo la tessera di assistenza sanitaria del giornale, avevamo pagato tutto in contanti per nascondere la mia identita’ di giornalista.

Ho scoperto tante cose grazie a quel ricovero.
Non conoscevo nulla della realta’ dentro le mura di un manicomio. Lo immaginavo solo vagamente come un luogo dove vengono concentrati individui “strani e pericolosi”.
Il ricovero mi ha aperto gli occhi.
La maggior parte dei pazienti, soprattutto gli schizofrenici non erano pericolosi come pensavo. Lui o Lei, semplicemente considerati immondizia, erano abbandonati in un padiglione chiuso come un immondezzaio. Erano povere persone che non riuscivano ad avere ne’ prospettiva ne’ speranza di vita.

Quelli che mi terrorizzavano erano gli operatori ospedalieri: il vice direttore, che ha ordinato con facilita’ l’applicazione di elettroshock ai ricoverati, il medico curante, che suggeriva il ricovero continuativo insistendo “non sei guarito dall’alcolismo!”, gli infermieri, che sgridavano i ricoverati con tono militaresco... veramente il personale era spaventoso.
Dopo questa esperienza in un manicomio giapponese, scrissi una serie di articoli sul quotidiano Asahi Shimbun, e successivamente pubblicai un libro “Reportage: padiglione manicomiale”. Denunciai con forte indignazione il sistema manicomiale, definendo il manicomio “luogo di abbandono dell’uomo”, dove l’uomo viene trattato come animale.
Purtroppo a quel tempo non scrissi nulla su un sistema alternativo, in quanto non ne avevo notizia alcuna. Nel 1970 in Giappone non c’era, e non c’e’ nemmeno oggi, un medico come Basaglia.
Potevo descrivere solamente alcune realta’ di pochissimi ospedali “coscienziosi” dove cercavano di creare “un padiglione con un’ atmosfera libera” e “un ambiente confortevole”, apprezzandone gli sforzi.
Nel 1985, per la prima volta anche in Giappone e’ arrivata la notizia che “in Italia era stata varata una legge che prevedeva l’abolizione dei manicomi”, cioe’ con 7 anni di ritardo dall’ entrata in vigore della legge stessa. Era una grande notizia che mi ha entusiasmato, ma nello stesso tempo non riuscivo a capire come fosse possibile abolire i manicomi considerati dai secoli “un male necessario”.
Per verificarne l’attuazione ho deciso di organizzare subito un viaggio in Italia con alcuni miei amici psichiatri. Era il febbraio 1986(7?).
Ho potuto constatare di persona la possibilita’ di esistenza di un sistema senza manicomi, cioe’ il sistema dei servizi territoriali con assistenza anche ai pazienti schizofrenici gravi .
Mi ricordo ancora la gioia di aver trovato la soluzione che cercavo nel “Reportage: padiglione manicomiale”. Ma nello stesso tempo onestamente immaginavo con una certa ansia che non sarebbe stato possibile che una riforma cosi’ drastica potesse diffondersi su tutto il territorio italiano, e che tutto sarebbe tornato come prima a causa di una ondata di controriforma.

Oggi, dopo 30 anni dall’entrata in vigore della legge 180, anche agli occhi di un giapponese, e’ evidente che la riforma sta mettendo le radici nella realta’ nazionale.
Ho iniziato un anno fa a raccogliere delle informazioni sulla situazione attuale della riforma. Durante questo lavoro ho avuto l’occasione di partecipare al concorso premio Basaglia e oggi ho fortunatamente l’onore di ricevere tale premio.

Vorrei ora raccontare la realta’ manicomiale in Giappone.
Sono passati 38 anni dal mio ricovero memorabile. Certo anche i manicomi giapponesi sono diventati quasi tutti apparentemente piu’ belli, dotati anche di riscaldamento, che prima non c’era. Sono quasi scomparse i grandi stanzoni dove ricoveravano 30~40 persone. Le notizie di violenza nei manicomi sono dimunuite. E’ aumentato invece il numero dei “medici coscienziosi” e degli “ospedali coscienziosi”.
Nonostante tutto cio’, il numero dei letti e’ aumentato di 100.000 unita’ rispetto a quello del 1970. Ora vi sono 340.000 letti per una popolazione di 120 milioni. Circa 190.000 letti per schizofrenici, altri per alcolisti e anziani dementi.
In questi 20~30 anni il numero dei letti manicomiali e’ diminuito in tutti i paesi sviluppati, tranne che in Giappone dove sono drasticamente aumentati e mantenuti costantemente fino ad oggi. Non si puo’ dire che in Giappone non esista per niente il servizio territoriale, ma si tratta di un’attivita’ molto limitata, attuata da alcuni ospedali “coscienziosi” nelle loro vicinanze per pochi abitanti-pazienti meno gravi.
La causa di questa situazione e’ evidente.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, il governo, che si trovava in difficolta’ finanziarie, favori’ la costruzione in grande scala dei manicomi privati. Il Giappone attuo’ quello che non osavano fare nemmeno gli Stati Uniti, leader mondiale del libero mercato, nel settore dei servizi psichiatrici. Il Governo giapponese offri’ un prestito pubblico a bassissimo tasso di interesse, ed emano’ un “provvedimento speciale” che permetteva di costruire i reparti psichiatrici “con meno medici ed infermieri rispetto allo standard ospedaliero”. Cosi’ nascevano i manicomi privati, che detengono piu’ del 90 % dei letti su scala nazionale.
Naturalmente l’ordinamento corporativo degli amministratori di manicomi privati e’ cresciuto enormemente e rinforzato politicamente ed e’ in grado di controllare l’orientamento della politica dei servizi psichiatrici nazionali. E’ stato creato un sistema in cui viene privilegiato il mantenimento perpetuo dei manicomi a scapito di un miglioramento della qualita’ della vita dei pazienti. Immaginare una rete pubblica di sicurezza per i pazienti, come vedo in altri paesi avanzati, rimane un sogno nel sogno.
Come si puo’ distruggere questa fortezza basata sulla centralita’ dei manicomi privati?
L’esempio della riforma italiana dei servizi pubblici basata sulla responsabilita’ pubblica ci insegna e ci incoraggia moltissimo. Una pubblicazione in giapponese sulla riforma lanciata da Basaglia diventera’ un’arma potente nella battaglia contro il centralismo dei manicomi privati.
Scrivere un libro in grado di colpire al cuore moltissimi giapponesi sara’ per me l’unico modo di corrispondere alle aspettative degli amici italiani.
Vi ringrazio per l’ascolto.


(Saluto di ringraziamento dopo la premiazione)

Fino ad oggi non ho ricevuto nessun premio, ed ero ormai rassegnato all’idea di concludere la vita senza ricevere alcun riconoscimento...
Con mia grande sorpresa e gioia ricevo qui oggi il premio Basaglia, un premio meraviglioso, straordinario, magnifico.
Sono trascorsi gia’ 22 anni da quando ho iniziato ad interessarmi della riforma italiana. Mi sento veramente felice come un uomo, che, innamorato per 22 anni di una donna senza essere ricambiato, riceve per la prima volta un sorriso gentile inaspettato.

Faro’ del mio meglio per creare un libro bellissimo merito di questo valoroso premio.
Esprimo la mia profonda riconoscenza allo spirito nobile degli organizzatori-creatori del premio, la Fondazione Basaglia e la Provincia di Venezia.
Grazie
by lykkelig | 2008-06-29 11:32 | 社会問題
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